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16 novembre 2020

Clean machine

I limiti delle emissioni sempre più stringenti portano a continui cambiamenti nello sviluppo dei motori termici. Le Case automobilistiche sono sempre più impegnate ad apportare modifiche e questa corsa mina il valore delle automobili. Audi ha presentato l’ennesima evoluzione dei suoi V6 TDI con tecnologia twin dosing, basata su di una doppia iniezione d’urea e due catalizzatori SCR in serie che riduce sino al 90% gli ossidi di azoto (NOx). Se chi pensa che i benzina siano esenti da questi cambiamenti sappia che nei propulsori TFSI l’efficienza è garantita da soluzioni quali l’iniezione diretta della benzina, il Ciclo Miller e lo “spegnimento” parziale dei cilindri ma ora anche da specifici filtri antiparticolato in grado di abbattere il 90% delle polveri sottili, in special modo il particolato di carbonio. Si perché anche i benzina non ne sono esenti.

audi motore diesel

Quanto siano diventate severe le disposizioni in materia di riduzione delle emissioni è percepibile analizzando i valori degli ossidi di azoto imposti ai motori Diesel. Con la normativa Euro 3, nel 2000 la soglia era di 500 milligrammi per chilometro. Oggi, con la direttiva Euro 6d, per i veicoli di nuova omologazione il target è 80 mg/km. In due decenni, il limite è stato ridotto a meno di un sesto del dato di partenza. Il 56% del contenimento degli NOx, gli ossidi di azoto, è legato al passaggio dalla normativa Euro 5 a quella Euro 6, mentre dal 1 gennaio 2020 l’Euro 6d ha sostituito l’Euro 6d-TEMP per i veicoli di nuova omologazione e dal 1 gennaio 2021 tale disposizione diventerà obbligatoria per tutte le vetture di prima immatricolazione. Parallelamente, verranno applicati i severi requisiti del ciclo di prova RDE (Real Driving Emissions) volto a rilevare le emissioni effettive in condizioni di marcia reali. Gli ossidi di azoto, nello specifico, sono sottoprodotti derivanti dal processo di combustione, più precisamente dalla reazione dell’azoto presente nell’aria con l’ossigeno. Nel caso dei motori Diesel, la produzione di NOx risulta particolarmente rilevante perché tali propulsori necessitano di un marcato apporto d’aria. All’interno del Gruppo Volkswagen, Audi è responsabile dello sviluppo dei motori V6 TDI di nuova generazione (Evo 3). L’innalzamento dei requisiti imposti dalle più severe normative sulle emissioni ha indotto gli ingegneri a rendere ancora più efficiente la depurazione dei gas di scarico. I sistemi di post trattamento, solitamente, richiedono catalizzatori dai volumi generosi, ma Audi è riuscita a rientrare nei limiti previsti realizzando un sistema relativamente compatto. I circuiti dei gas combusti sono collocati ai lati delle bancate, esternamente alla V formata dai blocchi dei cilindri, e convergono nella parte retrostante il propulsore – davanti al parafiamma – dove si trova il turbocompressore. A valle di quest’ultimo, l’impianto di scarico prevede un catalizzatore a ossidazione denominato NSC (NOx Storage Catalyst), incaricato di accumulare gli ossidi di azoto, immediatamente seguito da un filtro antiparticolato Diesel che integra l’azione del catalizzatore SCR, e per questo è denominato SDPF (SCR-Catalyzed Diesel Particulate Filter). Quindi, ancora più a valle, è previsto un secondo catalizzatore SCR a riduzione selettiva (Selective Catalyst Reduction). Il catalizzatore a ossidazione (NSC), collocato – come accennato – in prossimità del motore, accumula gli ossidi di azoto. L’NSC è efficace anche a temperature ridotte, ad esempio dopo un avviamento a freddo. Oltre allo stoccaggio degli ossidi di azoto, il catalizzatore ossida gli idrocarburi incombusti e il monossido di carbonio, ottenendo anidride carbonica, vapore acqueo e azoto. L’ulteriore step per la riduzione degli ossidi di azoto avviene mediante l’aggiunta di un additivo specifico, l’AdBlue. Tale soluzione d’urea e acqua demineralizzata viene iniettata all’interno dell’impianto di scarico in due punti differenti, con temperature diverse, mediante moduli di dosaggio dedicati. Il sistema è denominato twin-dosing. Nell’impianto di scarico si verifica quindi il processo chimico della termolisi dell’urea che trasforma l’AdBlue in ammoniaca. Ammoniaca che, a propria volta, sia all’interno del filtro antiparticolato Diesel integrante l’azione del catalizzatore SCR sia nel secondo catalizzatore SCR, posizionato più a valle, reagisce con gli ossidi di azoto non ancora trasformati. Il risultato di questo processo sono acqua e azoto elementare, vale a dire le sostanze che compongono i quattro quinti dell’atmosfera terrestre. La doppia iniezione della soluzione d’urea e acqua demineralizzata risulta particolarmente efficace. Il sistema sfrutta le differenti condizioni all’interno dei diversi settori dell’impianto di scarico. Audi riesce a convertire oltre il 90% degli ossidi di azoto in un ampio range di temperature. La tecnologia twin-dosing contribuisce infatti in modo decisivo al rispetto dei limiti nelle emissioni di NOx. Se, ad esempio, la vettura viaggia a lungo con il propulsore a pieno carico, come in autostrada o trainando un rimorchio, le temperature dei gas di scarico nell’SDPF, collocato vicino al motore, aumentano notevolmente. Conseguentemente, la percentuale di conversione degli ossidi di azoto si riduce. Entra quindi in gioco la seconda iniezione di AdBlue, a monte del secondo catalizzatore SCR. Quest’ultimo, collocato sensibilmente più a valle, nel sottoscocca della vettura, può contare su temperature più basse, a vantaggio dell’abbattimento dei NOx. I V6 3.0 TDI Audi di nuova generazione beneficiano della tecnologia twin-dosing e sono proposti in tre step di potenza. Analogamente ai propulsori Diesel, anche i motori TFSI – turbo a iniezione diretta della benzina – adottano soluzioni raffinate per l’abbattimento delle emissioni. In primis grazie al Ciclo B di combustione, noto come Ciclo Miller, che costituisce una variante del classico ciclo Otto ed è caratterizzato da un rapporto di compressione più basso rispetto al rapporto d’espansione – nel ciclo Otto le due fasi sono pressoché identiche – portando ad avere la fase di compressione più breve rispetto a quella d'espansione. Ne consegue il miglioramento della quantità d'energia estratta sotto forma di pressione dalla combustione, specie ai regimi transitori e in condizioni di moderato carico. All’efficienza e alla “pulizia” dei propulsori TFSI contribuiscono l’iniezione diretta della benzina, l’adozione di filtri antiparticolato, il sistema Audi valvelift system (AVS), che regola la quantità d’aria aspirata differenziando i tempi di apertura e la corsa delle valvole in funzione del carico e del regime motore, così da garantire un preciso riempimento delle camere di combustione, e la tecnologia COD (cylinder on demand) che nelle fasi a carico ridotto disattiva i singoli cilindri “spegnendo” le fasi d’iniezione e accensione nonché chiudendo le valvole di aspirazione e scarico. Le camere di combustione inattive vedono i pistoni muoversi senza dissipazioni d’energia. Non appena viene premuto con decisione il pedale dell’acceleratore, i cilindri spenti tornano attivi. Il filtro antiparticolato dedicato ai motori TFSI ha il compito di depurare i gas di scarico anche nelle condizioni d’utilizzo meno favorevoli al contenimento delle emissioni. Tale dispositivo è in grado di ridurre del 90% le polveri sottili, in special modo il particolato di carbonio che, nel caso dei motori a benzina, viene prodotto soprattutto durante l’avviamento a freddo. Dal 2018, tutti i motori Audi TFSI omologati Euro 6d-TEMP sono dotati di filtro antiparticolato, con due uniche eccezioni: il 4 cilindri di 2,0 litri della serie EA888, dedicato alle versioni g-tron a metano di Audi A4 Avant e Audi A5 Sportback, e il quadricilindrico 1.5 TFSI appannaggio di Audi A3 Sportback g-tron. Propulsori che beneficiano dell’alimentazione a gas naturale, la cui combustione è, appunto, scevra dalla produzione di particolato. A valle del catalizzatore, i gas di scarico passano attraverso un corpo ceramico a pori fini. Il GPF (Gasoline Particulate Filter) agisce in modo simile al sistema di depurazione di un motore Diesel: i gas combusti, infatti, fluiscono attraverso una parete filtrante porosa grazie a specifici condotti di aspirazione e scarico che si aprono e chiudono alternativamente. Diversamente dai propulsori a gasolio, che adottano un filtro antiparticolato in carburo di silicio, per i propulsori TFSI è stata scelta la cordierite, un minerale particolarmente resistente al calore. La rigenerazione del GPF è più semplice rispetto a un’unità per motori Diesel in quanto il propulsore a benzina da un lato non produce particolato in ogni condizioni di esercizio, dall’altro le temperature dei gas di scarico sono superiori a un sistema ad accensione spontanea. In aggiunta, l’elettronica permette di adattare con eccezionale accuratezza l’immissione d’ossigeno, andando ad aumentare ulteriormente la temperatura nel tratto di scarico interessato. Così facendo, la quantità di particolato, già inferiore – come accennato – a un propulsore Diesel, viene post-ossidata e neutralizzata. Audi adotta filtri antiparticolato di dimensioni particolarmente generose per i motori a benzina. Nel caso del 4 cilindri 2.0 EA888, tale componente raggiunge un volume di 3,2 litri. La raffinata struttura garantisce valori di retropressione contenuti, a vantaggio dell’erogazione di potenza e coppia. L’azione dei GPF Audi è monitorata da sensori che, in funzione delle condizioni del filtro, regolano frequenza e durata della rigenerazione. Condizioni sulle quali influiscono lo stile di guida e le situazioni di marcia prevalenti della vettura. Concludendo, è da augurarsi che tutti questi componenti dal costo importante abbiano una durata adeguata e che le loro azioni non incidano in modo pesante sui consumi, perché mai dimenticarsi che quando entrò in funzione il filtro antiparticolato negli anni duemila le auto dotate di questa componente bruciavano un 5% in più di carburante. Ma è soprattutto importantissimo capire che oggi le nuove automobili sono delle autentiche clean machine.

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