Mike Manley
A proposito di...
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22 luglio 2018

condottieri: arriva al timone di FCA Mike Manley. Uno che...

Sua Maestà, Sergio Marchionne abdica.
 
Sale sul trono di FCA Mike Manley, scozzese, dal carattere duro e puro come il Bruichladdich. Un whisky che quando lo si assaggia non lo si dimentica, ma anche un whisky poco noto ai più. Proprio come Mike Manley.
 
Cosa farà e chi è Mike Manley molti se lo stanno domandando. Anche perché FCA ha scelte importanti da prendere e la rotta, seppur disegnata da Sua Maestà Sergio Marchionne attraverso il piano 2018-2022 con lo scorporo di Magneti Marelli, non è priva di scogli. Ricordiamo in ordine sparso: il prossimo cambiamento dell’offerta entry level, con Panda e mini Jeep in rampa di lancio, lo stop a Mito e Punto, i dubbi su Ypsilon…l’evoluzione 500…,nuovi modelli Alfa e Maserati…; poi la messa in discussione del Diesel; e l’elettrificazione, ma quale: quella ibrida, quella pura o quella legata alla tecnologia fuel cell?; e ancora gli investimenti sugli stabilimenti legati al passaggio 4.0 ma anche come muoversi sul tema dazi con la guerra USA-Cina-Europa. E il tema alleanze? Insomma, di scogli ce ne sono più che in passato e seppur la nave Fiat-FCA non sia il colabrodo che trovò Sua Maestà grazie anche a un uomo illuminato dai capelli bianchi (Gianluigi Gabetti ) e uno dai tanti ricci più maturo della sua età anagrafica (John Elkann), la crociera di Manley tanto rilassante non sarà.
 
La prima volta che entrammo in contatto con Mike Manley fu nel 2009. Era giovane e con un ciuffo ribelle, lo vedete nella foto in basso; sopra invece lo vedete quando lo abbiamo incontrato a Detroit a gennaio. Nel 2009 lo incontrammo nella sede Chrysler, appena conquistata da Sua Maestà, ad Auburn Hills, un po' a nord di Detroit.

Mike Manley aveva ricevuto da poco lo scettro per comandare Jeep. Ci ricevette in un ufficio dove sembrava fosse passato il ciclone Catarina. C’erano carte e pacchi di fogli ovunque. Per terra, sui vetri, sulla sedia dove ci dovevamo sedere. Manley vide la nostra faccia stupita e disse che chi non lavora non lascia tracce!
Piglio deciso, Mike Manley iniziò l’intervista su cosa era Jeep e su cosa Jeep poteva diventare. Parlava come un insegnante agli alunni di prima elementare! All’inizio di quell’incontro Manley seguiva un copione e dopo dieci minuti lo fermammo di brutto, perché non si era andati a sentire la messa! Volevamo sapere dei nuovi prodotti, su come voleva lanciare l’offensiva (dalla piccola Jeep alla grande Jeep), su chi era e quali obiettivi si poneva. Volevamo risposte alle nostre domande, non sentire un sermone, anche perché all’inizio il tempo dell’incontro era stato stabilito in mezz’ora che poi diventarono tre ore!
Al nostro stop Manley si contrariò fortemente. Anche perché Manley poco volentieri voleva parlare dei nuovi prodotti. Il suo carattere emerse chiaramente con spigoli taglienti che, se attaccato, si trasformano in lame che tengono ben distanti, se non si vuole andare a ferirsi. Si continuò la conversazione quindi in “punta di penna” su temi più ampi: su dove andava l’industria dell’auto, sui mercati e sui numeri. Che gli piacevano parecchio e con cui condivideva stessa passione con Sua Maestà, per questo i due sono andati tanto a braccetto. Tant’è che Manley è stato l’unico a cui Sua Maestà abbia lasciato pieno potere. Generando anche malumori nel regno Emea. Dopo due ore di “pensieri e parole” dove si era insistito sulla rivalità tra Land Rover e Jeep, sul grande mercato Cina, sul fatto che Jeep e Land fossero gli unici due brand al mondo specializzati e riconosciuti nel 4x4, quindi con grandissime potenzialità… si entrò su temi un po’ più scottanti. Perché Manley si era sciolto, tanto che i piedi ogni tanto li metteva anche sulla scrivania. A un certo punto attaccò veemente i tedeschi di Daimler, perché non si integrarono con gli americani e questo, a dir suo, portò allo scoppio della relazione. Mercedes che tanto aveva pagato per Chrysler quasi altrettanto pagò per disfarsene con la finanza che ci speculò, il fondo Cerberus. Sempre in tema di relazioni mise l’accento sul rapporto tra Obama e Marchionne e sull’empatia che quest’uomo aveva su tutti che lo portava a pensare che tutto sarebbe stato diverso. Ma Manley arrivò anche a dire che Fiat era un grosso problema perché non era un marchio globale e che non sarebbe stato facile farla vivere in un mondo dai rapidi cambiamenti, anche inaspettati, e dove il brand ha sempre più importanza. Citammo Alfa Romeo. Ma anche in questo caso Manley ci stupì affermando che anche per Alfa non sarebbe stato facile, perché nel nuovo Gruppo Fiat-Chrysler, c’era il marchio Dodge che non andava sottovalutato, perché negli USA era un marchio ben più radicato di Alfa e complessivamente le vendite erano più importanti, con oltre 1,2 milioni di unità. Sarebbe stato un rischio, a suo parere, concentrarsi su Alfa Romeo togliendo risorse a Dodge. Ripeté quindi ancora che nei tre più grandi mercati al mondo dell’auto, USA-Europa-Cina, Jeep era l’unica a poter giocare su tutti, assieme a Ferrari! Insomma l’impressione fu quella di un uomo concentrato sul suo regno, non solo nel gestirlo, ma anche nel valorizzarlo al massimo.

 
Negli anni Manley lo si incontrò ancora ma al debutto della Jeep più strana di tutti i tempi, la nuova Cherokee del 2013, lo si trovò diverso. I successi ottenuti, la carica dal 2011 del Gec, l’organismo decisionale di FCA che risponde solo al consiglio d’amministrazione di FCA, lo avevano tanto cambiato, anche nel look. E non fu una sorpresa quando nel 2015 ottenne la responsabilità pure del brand Ram, che negli Usa vale oro, perché gestisce i pick up, miniera del Gruppo.
 
In tempi più recenti Manley ha parlato di elettrico e della scossa che farà prendere a tutti i modelli Jeep, addirittura ipotizzando una gamma elettrica a parte. Prima però ci sarà una Jeep ancora più piccola rispetto alla Renegade e arriveranno le ammiraglie Wagoneer. Super attratto dal design, all’inizio, fu lui che approvò le linee squadrate della Renegade e anche le X nei fari che ricordavano quelle delle taniche, con grande coraggio, dimostrato anche dalle decisioni prese sul frontale della Cherokee, oggi è meno attratto dalle forme e più da altre parti sempre vitali. E alcune persone a lui vicine dicono sia meno estremo nei gusti.
 
Oggi Manley è il N.1 di FCA. Un altro numero 1 solo al comando e con tante meno carte in mano di chi l’ha preceduto. Ha un’azienda più sana certo, ma non ha un accordo da sciogliere con un grande costruttore, come capitò a Marchionne con l’operazione General Motors architettata dall’Avvocato e da Paolo Fresco; non c’è all’orizzonte un presidente come Obama; non ha una cassaforte come Ferrari da mettere sul mercato.
 
Insomma, per Manley c’è solo da sperare che peschi un jolly da potersi giocare e bene. Che sia coreano, cinese, tedesco o americano poco importa, è necessario solo che sia affidabile per non trovarsi fuori rotta o peggio in mezzo a un fortunale senza controllo.

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